I Linguaggi dell’Amore

Secondo una teoria popolare sono cinque i modi in cui una persona può esprimere e ricevere amore:

– contatto fisico

– parole di affermazione (per esempio complimenti, espressioni di riconoscenza e apprezzamento)

– azioni (per esempio gesti amorevoli come preparare la colazione per l’altro, accompagnare il partner in stazione, riparare la maniglia rotta, svuotare la lavastoviglie)

– regali


– tempo di qualità trascorso insieme


Gary Chapman, in un libro tanto di successo quanto criticato, li chiama I Cinque Linguaggi dell’Amore. Secondo Chapman è importante individuare le modalità preferite da noi e dal nostro partner perché se il partner non comunica usando i linguaggi da noi preferiti noi non ci sentiamo amati. Quindi se il linguaggio da noi preferito è trascorrere tempo insieme, a nulla serviranno fiori o regali se il nostro partner non trova un po’ di tempo da dedicarci. Se il linguaggio preferito dal nostro partner sono le azioni a nulla serviranno parole dolci o complimenti se non abbiamo ripulito il giardino.

I Cinque Linguaggi dell’Amore di Gary Chapman, Elledici (2008).

Da Adolescenza a Maturità

Nell’adolescenza la sfida più importante è decidere se e quanto impegnarsi nei vari aspetti della propria vita (per esempio la scuola o le amicizie). Nell’adolescenza infatti spesso il percorso è già segnato e quasi automatico: per essere promossi bisogna studiare, per avere amicizie, occorre impegnarsi e coltivare le relazioni con i compagni di classe e i coetanei. Tutti gli strumenti sono a portata di mano dell’adolescente che dà per scontato che con l’impegno si otterranno buoni risultati. 

Col passaggio alla maturità ci si accorge che si hanno molte più possibilità di scelta. L’orizzonte si espande e occorre prendere decisioni basandosi su un menu di opzioni molto più ampio: quale facoltà universitaria, quale lavoro, dove vivere. La giornata che prima era scandita dai rigidi ritmi scolastici diventa meno strutturata e occorre decidere come utilizzare il proprio tempo, incluso il tempo libero. Gli amici non sono più comodamente i compagni di classe o di scuola, ma occorre decidere quale cerchia di amici frequentare. E si arriva – spesso dolorosamente – alla consapevolezza che l’impegno non è sempre sufficiente per ottenere ciò che si vuole. Si inizia a comprendere che non esiste solo il mondo interiore con i propri bisogni e desideri, ma esiste un mondo esterno che non possiamo completamente controllare. Ci si può impegnare ma non si possono controllare i fattori esterni che contribuiscono al successo o all’insuccesso. Ci si trova, spesso per la prima volta, davanti ad ostacoli che non sono mai stati affrontati prima. I ragazzi entrano nel mondo dell’università o nel mondo professionale, mondi più vasti e più difficili da navigare rispetto all’ambiente scolastico. Un mondo dove i professori non conoscono gli alunni, dove i compagni di scuola non sono a portata di banco ogni giorno. Se non basta impegnarsi allora come si procede? Spesso i ragazzi si bloccano in questa fase, a causa di ansia o incertezza. Prima di tutto è necessario accettare che non tutto ruota attorno a noi stessi. Poi occorre accettare che inevitabilmente si percorreranno strade sbagliate, che a volte occorrerà correggere il tiro e ricominciare da capo. Queste sono opportunità di crescita che possono risultare dolorose. 

Da Coppia a Famiglia

La transizione da coppia a famiglia è una delle sfide più importanti che una coppia deve affrontare. Adattarsi ai cambiamenti richiede tempo – “un tempo misurato in anni, non settimane” dice Esther Perel. Tutto cambia: non si leggono più le notizie nello stesso modo, cambiano le relazioni con parenti e amici, la gestione delle finanze e le priorità. Fare una famiglia vuol dire ridistribuire le risorse e questo significa che ce ne sono meno per la coppia: meno sonno, meno comunicazione, meno privacy, meno tempo, meno libertà, meno soldi, meno intimità.  La coppia deve adattarsi al continuo flusso dei cambiamenti e ogni volta impegnarsi a ritrovarsi. Alcune coppie si riavvicinano naturalmente mentre altre si allontano e finiscono col perdersi, distratte dall’incessante gestione della vita quotidiana. Tra il lavoro e la famiglia è un flusso continuo in cui dobbiamo decidere tra ciò che è fondamentale, ciò che è importante, ciò che vorremmo e ciò che dovremmo fare.

La Mente Saggia

La psicologa statunitense Marsha Linehan descrive i tre principali modi di essere della mente umana: Mente Razionale, Mente Emotiva e Mente Saggia. 

– Quando una persona si fa guidare dalla Mente Razionale affronta i problemi con calma, pensa in modo razionale e logico, rimane concentrata sui fatti e pianifica a lungo termine.

– Quando una persona si fa guidare dalla Mente Emotiva il suo pensiero e il suo comportamento sono influenzati e controllati dal suo stato emotivo. Pensare in modo razionale e logico diventa difficile perché i fatti sono amplificati o distorti dallo stato d’animo in cui ci troviamo. Anche l’intensità del nostro comportamento è dettata dal nostro stato emotivo.

Senza la Mente Razionale non si costruirebbero città e palazzi, non si seguirebbero le istruzioni e non si potrebbe gestire una riunione di lavoro. Senza la Mente Emotiva non ci sarebbero i grandi slanci e le passioni che ci motivano. Così come non è possibile controllare le emozioni con la logica e la razionalità, non è possibile creare un’emozione con la razionalità. 

– La Mente Saggia è l’integrazione di Mente Razionale e Mente Emotiva. Non è la semplice somma dei due modi di operare, ma una vera e propria integrazione perché la Mente Saggia aggiunge la conoscenza intuitiva all’esperienze emotiva e al raziocinio. Quando Mente Razionale e Mente Emotiva si integrano e la persona opera con Mente Saggia si sente in pace con se stessa e si sente in equilibrio. 

Dialectical Behavioral Therapy  Skills Training Manual di Marsha M. Linehan, Guilford Press (2014).

Accettare l’imperfezione

Il coraggio, la compassione e la connessione emotiva sembrano grandi ideali, ma in realtà sono pratiche quotidiane. Quando ci ritroviamo in una situazione di sofferenza non è saggio continuare imperterriti e ciecamente sulla stessa strada sperando di ottenere risultati diversi: è il momento di usare il coraggio e fare scelte deliberate e innovative. Come scrive la psicologa americana Brené Brown: “il coraggio si impara esercitandolo.” 

Avere coraggio significa innanzitutto affrontare chi siamo, accettando con compassione anche le nostre debolezze ed imperfezioni, senza giudicarci severamente.  Accettare noi stessi per come siamo veramente può essere difficile, ma non difficile come trascorrere la vita sfuggendo dalla realtà. Non conviene tradire la nostra autenticità per ottenere l’approvazione altrui. Quando lo facciamo è perché abbiamo smesso di credere al nostro valore e stiamo cercando di ricomprarlo dagli altri.

Avere coraggio significa parlare onestamente e apertamente di chi siamo, di quello che proviamo e delle nostre esperienze (positive e negative). 

Quando ci ritroviamo in una situazione di sofferenza, il nostro primo istinto è quello di proteggere noi stessi, spesso cercando qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa.  Quando accusiamo gli altri e li giudichiamo senza nessuna compassione siamo poi così esausti e consumati dalla rabbia che non abbiamo le forze di mettere in pratica le giuste conseguenze e farle rispettare. Quando esercitiamo la nostra compassione invece che il giudizio, siamo più sicuri di chi siamo e di cosa abbiamo bisogno e di conseguenza siamo anche più capaci di farci rispettare con gentilezza e fermezza. 

Quando ci accorgiamo di aver commesso un errore e ci sentiamo assalire dalla vergogna, il nostro istinto ci spinge a rinchiuderci in noi stessi. E’ coraggioso invece fare l’esatto contrario: prendere coscienza degli errori commessi e aprirsi a qualcuno che si è guadagnato il diritto di vederci per come siamo veramente, qualcuno su cui possiamo contare e che risponderà con compassione. La vergogna viene amplificata nella solitudine, ma non sopravvive quando viene condivisa, quando tendiamo la mano all’altro e l’altro risponde con compassione. 

Quando accettiamo con compassione le nostre imperfezioni abbiamo il coraggio di chiedere quello di cui abbiamo bisogno e siamo aperti a riceverlo. La disponibilità a mostrare all’altro la nostra imperfezione porta ad una rafforzamento della relazione che continua nel tempo. Quando rispondiamo con compassione alle imperfezioni altrui siamo pronti ad aiutarli senza giudicarli, stabilendo connessioni emotive autentiche. 

The Gifts of Imperfection di Brené Brown. Hazelden Publishing (2010).

Critiche e Atteggiamento Difensivo

E’ difficile ascoltare veramente l’altro senza mettersi in posizione difensiva, senza sentire risuonare quel “ma… ma… ma…” che ci sale dentro e ci rende incapaci di sentire ciò che il nostro interlocutore ci sta comunicando. Ecco alcuni punti da tenere in mente quando la persona che abbiamo di fronte ci sta presentando una critica:

1) Essere disposti ad ascoltare una critica non vuol dire accettare l’insulto. Si può chiedere al nostro interlocutore di usare un modo di comunicazione più rispettoso.

2) E’ importante ascoltare col solo scopo di capire il punto di vista dell’altro e non con l’obiettivo di individuare ciò su cui non siamo d’accordo. Se ci stiamo concentrando sulle inesattezze, sulle esagerazioni e sulle distorsioni che inevitabilmente sono presenti nel racconto dell’interlocutore significa che ci troviamo in posizione difensiva. Quando siamo sulla difensiva non possiamo recepire nuove informazioni. 

3) E’ meglio riservare eventuali rimostranze per una conversazione futura dove le nostre argomentazioni possono essere presentate come punto centrale del discorso e non soltanto come strategia di difesa. 

4) Se la critica viene presentata in modo vago, è utile chiedere un esempio chiarificatore. Occorre mantenere un atteggiamento di curiosità nei riguardi del punto di vista dell’altro.

6) E’ utile cercare qualcosa su cui si è d’accordo e dirlo apertamente, anche se costituisce solo una piccola parte del discorso. Se non si trova nulla su cui essere d’accordo, possiamo sempre ringraziare i’interlocutore per il coraggio mostrato e comunicargli che continueremo a riflettere su ciò che ha detto.

7) E’ importante scusarsi e assumersi la responsabilità della sofferenza causata. Questo porterà la discussione da attacco a collaborazione.

8) Ricordiamoci di prendere l’iniziativa e riprendere l’argomento nei giorni successivi. Questo dimostra all’altro che ci stiamo ancora pensando e che teniamo alla relazione.

Why won’t you apologize? Healing big betrayals and everyday hurts di Harriet Lerner. Touchstone (2017).

Scusa. Il magico potere di ammettere i propri sbagli di Harriet Lerner. Feltrinelli (2018).

Connessione Emotiva

Le relazioni passate ti hanno insegnato che non si può contare su nessuno e bisogna battersi per essere ascoltati e considerati? O hai imparato che dipendere dagli altri è pericoloso ed è più prudente tenersi a distanza e non avere bisogno degli altri?  

Queste strategie, da noi apprese nel corso della vita, si innescano ogni volta che ci sentiamo minacciati. Determinano le nostre reazioni e la qualità delle nostre relazioni (col partner, con i fratelli, con i figli). 

Quando la connessione emotiva di una coppia è in pericolo, i partner litigano per la puntualità, per il disordine, per la lavastoviglie o per una dimenticanza. Dietro ad ogni conflitto, ci sono in realtà emozioni forti che poco hanno a che fare con l’argomento del litigio. Queste emozioni sono spesso rabbia, delusione e panico, perché la frattura della connessione minaccia un bisogno primario degli esseri umani: il bisogno di affiliazione. A causa dell’allontanamento emotivo, nessuno dei due partner si sente al sicuro con l’altro. La rabbia e le critiche sono in realtà proteste causate da questo allontanamento emotivo. Ciascun partner si pone allora delle domande fondamentali: 

Posso contare su di te? 

Mi aiuterai nel momento del bisogno? 

Che valore dai a “noi” e a me? 

Quando non ci sentiamo sicuri in una relazione affettiva abbiamo due modi per proteggerci:  

1) battersi per ottenere il riconoscimento desiderato e diventare più esigenti (e più critici), 

2) allentare il coinvolgimento emotivo, sopprimere le nostre esigenze e rinchiuderci in noi stessi.  

Di solito un partner adotta una strategia, mentre l’altro adotta l’altra: uno incalza e l’altro sfugge; uno attacca e critica e l’altro evita, ignora e minimizza. E’ una dinamica che lascia entrambi frustrati e soli. Riconoscere le nostre paure e le strategie che applichiamo per affrontarle è il primo passo per migliorare una relazione.

Hold Me Tight di Dr. Sue Johnson. Little, Brown and Company (2008).

Modalità Costruttive di Comunicazione nella Coppia

Le ricerche dello psicologo John Gottman hanno identificato quattro modalità di comunicazione nella coppia che fungono da “antidoto” ai quattro Cavalieri dell’Apocalisse di cui ho scritto in un post precedente (https://federicalatta.com/2020/05/27/quattro-errori-da-evitare-nella-comunicazione-di-coppia/). 

1) Posizione critica

Esempio: “Arrivi sempre in ritardo.”

Antidoto: cominciare le conversazioni difficili con calma e gentilezza. L’inizio di una conversazione è molto importante e un inizio brusco (contenente critiche o commenti sarcastici) non porta ad una soluzione soddisfacente del conflitto. Invece di criticare l’altro occorre esporre il proprio desiderio (o bisogno) descrivendo la situazione specifica, senza giudizi e senza generalizzazioni, ponendo l’accento su come ci sentiamo noi. L’obiettivo è risolvere i problemi in modo collaborativo, non accusare l’altro.  

Alternativa costruttiva: “Quando stasera hai fatto tardi, non mi sono sentito/a rispettata. Potresti avvisarmi quando ritardi?”

2) Posizione difensiva

Esempio: “Sono in ritardo perché c’era molto traffico. Ma ieri ero puntuale! E anche tu a volte ritardi!”

Antidoto: ascoltare il partner mentre espone il suo punto di vista, senza affrettarsi a difendere la propria posizione. Il punto di vista del partner è valido anche se noi al suo posto avremmo agito o pensato diversamente, perché l’altro ha emozioni e aspettative che possono essere completamente diverse dalle nostre.  Una volta compreso il punto di vista del partner, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità ed eventualmente scusarci per il danno arrecato (anche quando le nostre intenzioni erano benevoli). 

Alternativa costruttiva: “Hai ragione, spesso faccio tardi e capisco che ti infastidisce aspettarmi.”

3) Stonewalling

Esempio: “Con te è impossibile parlare! Me ne vado.”

Antidoto: quando nel corso di una discussione ci si accorge che non si riescono a gestire le proprie emozioni è necessario fare una pausa e riprendere la conversazione solo una volta che ci si è calmati. Quando siamo sopraffatti dalle emozioni non riusciamo ad ascoltare l’interlocutore, non riusciamo ad esprimerci in modo chiaro e non riusciamo ad agire in accordo con i nostri obiettivi. 

Alternativa costruttiva: “Sento che mi sto agitando e non riesco ad ascoltarti come vorrei. Ho bisogno di fare una pausa. Ne possiamo parlare dopo cena?”

4) Disprezzo

Esempio: “Ci credo quando lo vedo!”

Antidoto: coltivare una cultura di affetto e gratitudine. E’ importante ricordarsi che ci sono modi diversi di vivere e non c’è un modo superiore e uno inferiore. L’obiettivo non è dimostrare la nostra superiorità sul partner, ma collaborare per risolvere i problemi (quando sono risolvibili) o imparare a conviverci in modo soddisfacente quando non sono risolvibili.

Alternativa costruttiva: “Come possiamo risolvere questo problema? Come posso aiutarti a ricordartene?”

Conflitti nella Coppia

Secondo le ricerche dello psicologo americano John Gottman, osservando i primi tre minuti di una discussione nella coppia è possibile prevedere come finirà nel 96% dei casi: le conversazioni che iniziano in modo negativo (per esempio con un tono brusco, con una critica o con un commento sarcastico) terminano in modo negativo anche quando vengono effettuati tentativi per rimediare.

Gli studi di Gottman hanno inoltre dimostrato che la maggior parte dei conflitti della coppia non può essere risolta in quanto è causata da differenze fondamentali nello stile di vita, nella personalità o nei valori dei partner. Per questo la coppia continua a litigare – spesso per anni – sugli stessi argomenti, perché ciascun partner tenta inutilmente di cambiare l’altro senza mai cercare di comprendere le paure e i sogni che si nascondono nel punto di vista dell’altro.

The Seven Principles for Making Marriage Work di John M. Gottman, Seven Dials (1999). 

Autostima

Secondo la definizione dello psicologo statunitense Terry Real, l’autostima è la consapevolezza di avere valore come essere umano. Questo valore è un diritto che tutti noi possediamo alla nascita e quindi non proviene né dalla stima che gli altri hanno di noi né dai nostri successi ed insuccessi. E’ un valore che nessuno può conferirci né toglierci.  Si ha una buona autostima quando

1) si è consapevoli di avere valore,

2) si ritiene che questo valore non sia inferiore o superiore a quello di nessun altro essere umano,

3) si ha la capacità di volere bene a se stessi e trattarsi con gentilezza anche quando si commettono errori. 

L’autostima non sana può assumere due aspetti: 

– quando una persona si sente superiore o migliore degli altri l’autostima appare come un senso di grandiosità, 

– quando una persona si sente inferiore agli altri l’autostima appare come un senso di vergogna e di non essere meritevoli di appartenenza. 

La grandiosità e la vergogna sottendono un senso di disprezzo: quando il disprezzo è orientato verso gli altri abbiamo la grandiosità, mentre quando è orientato verso noi stessi proviamo un senso di vergogna.

Non è possibile avere intimità con un’altra persona quando ci si sente in una posizione di inferiorità o superiorità rispetto all’altro. La connessione emotiva è possibile solamente tra due persone che si sentono allo stesso livello in quanto esseri umani di uguale valore.

Quando ci rendiamo conto di esserci comportati in un modo che infrange il nostro codice morale proviamo un senso di colpa. Questo senso di colpa è utile ed è indice di salute psicologica perché è ciò che ci spinge ad assumerci le nostre responsabilità, riparare i torti inflitti e migliorare il nostro comportamento. Quando però il senso di colpa diventa generalizzato, cioè non è più riferito a comportamenti specifici, ma a tutta la nostra persona, si parla di vergogna. La vergogna è un sentimento potente e molto doloroso perché porta con sé la paura di essere esclusi dal gruppo, dalla società. 

Per proteggerci da sentimenti intensi di vergogna a volte cerchiamo di nasconderci e occupare meno spazio possibile: chiediamo scusa per esistere, per occupare troppo spazio o per aver osato esprimere la nostra opinione. Oppure facciamo l’opposto e trasformiamo la vergogna in disprezzo, arroganza e senso di superiorità e non chiediamo scusa mai a nessuno. In realtà questi due atteggiamenti sono facce della stessa medaglia: la bassa autostima. Possiamo ammettere i nostri errori solo se possediamo una buona dose di forza interiore che ci permette di sentirci vulnerabili e di accettare i nostri limiti senza sentirci per questo distrutti o indeboliti.

La capacità di una persona di assumersi le proprie responsabilità, provare empatia e rimorso e chiederti scusa in modo sincero dipende dal rispetto e dall’amore che prova per se stessa e non dall’amore che prova per te.

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